Molti tra i più severi studiosi del Medioevo e della cultura medievale, nel Novecento, con riferimento a Dante Alighieri, hanno parlato di «miracolo» dantesco. Fra gli altri, Erich Auerbach e Ernst Robert Curtius, Ernesto Giacomo Parodi e Michele Barbi, Gianfranco Contini, Antonino Pagliaro, Eugenio Montale, e altri. Non si tratta di formula enfatica: miracolo è ‘ciò che desta meraviglia’, un fenomeno che si colloca fuori dell’ordine naturale delle cose. E il poema di Dante – la Commedia (definita Divina a partire dal ’500) – si colloca realmente in una dimensione che per molti aspetti può apparire fuori dell’ordine naturale delle cose: “prodigiosa” non solo per la densità e l’altezza della sua poesia, ma per il modo in cui essa è stata realizzata e fruita, per gli effetti che ha prodotto, per la popolarità che la sostiene da secoli nel mondo.
La Divina Commedia è infatti non soltanto una delle più alte opere di poesia che siano mai state scritte in tutti i tempi e in tutte le lingue, ma la prima grande, grandissima opera letteraria scritta in una lingua europea moderna. Mentre il Medioevo in Europa volge al termine e si vanno costituendo le varie identità nazionali, fondate su nuovi elementi connotativi linguistici e culturali, Dante decide di abbandonare il latino, da sempre lingua della comunicazione elitaria e della scrittura, per tutti, e adotta quello che sarà poi detto l’italiano: un modo espressivo che alla fine del ’200 ancora quasi non esiste come lingua letteraria, è soltanto un incolto idioma volgare dell’uso parlato, povero nel lessico, privo di codificate regole grammaticali e sintattiche, e ne fa lo strumento linguistico cui affida la più grande opera di letteratura che sia mai stata pensata: nella quale per la prima volta si cerca di indagare il destino dell’uomo dopo la morte e di rappresentare i misteri fino ad allora intentati dell’infinito e del divino. Nel momento in cui il Medioevo sta per esaurirsi nell’Età Moderna che faticosamente si va schiudendo (ma Dante non lo sa, e non può saperlo), il Poeta riesce a condensare nella sua opera una sintesi straordinaria della realtà storica e della cultura medievale: quella che nell’arco di quasi un millennio ha assimilato e adattato la cultura classica, greca e romana, trasformandola – con l’apporto delle nuove culture affacciatesi in Europa nel corso dei secoli: germanica, slava, greco-bizantina, araba, asiatica – nella “forma” della nuova cultura moderna dell’Occidente. Al di là del suo statuto di mirabile opera di poesia, la Divina Commedia risulta così un eccezionale documento storico e un fondamentale elemento di collegamento del Medioevo con la Modernità, che in quello trova le sue inderogabili radici.
L’esito di questa impresa è per molti aspetti “miracoloso”, come è stato detto. La lingua italiana, grazie principalmente alla forgiatura di Dante, è oggi l’unica lingua di cultura dell’Occidente rimasta sostanzialmente inalterata nei secoli (a differenza dal francese, l’inglese, lo spagnolo, il tedesco, ecc., mutati profondamente nel ’500; e la Divina Commedia è l’unico capolavoro del Medioevo ancora leggibile nella lingua originale); la “presenza” dell’opera di Dante domina da settecento anni lo scenario culturale europeo e mondiale, a partire almeno dal ’500, quando i nomi più illustri della cultura internazionale sono coinvolti nello studio e nell’ammirazione di Dante: da Milton a Coleridge, Shelley, Byron in Inghilterra, Balzac, Dumas, Sainte-Beuve in Francia, Goethe, Schelling, Schlegel, Hegel in Germania, Puškin, Gogol’, Turgenev, fino a Mandel’štam in Russia, fino a Borges nell’America latina, e così via. Dante viene tradotto, spesso più volte ritradotto in tutte le lingue del mondo (e nel XX secolo la Commedia risulta l’opera straniera più tradotta e ristampata in inglese dopo la Bibbia); la diffusione dei temi danteschi nella grande pittura europea dalla fine del ’700 dà la misura della popolarità raggiunta dall’opera sua: basti ricordare Joshua Reynolds, William Blake, John Flaxmann, William Dyce, Dante Gabriel Rossetti in Inghilterra, Ingres, Carpaux, Delacroix in Francia, Asmus Jacob Carstens in Germania, Ary Schiffer in Olanda, e tanti altri. Musicisti come Franz Liszt compongono sonate e sinfonie per Dante. Al tempo stesso si sviluppano la filologia e la critica dantesca, impegnate nel recupero puntuale dei testi e nell’approfondimento critico del dettato, coinvolgendo i più alti ingegni di ogni paese: nel 1865 Karl Witte in Germania tenta la prima edizione critica del Poema, negli stessi anni il futuro re Giovanni di Sassonia (König Johann von Saxen) sotto il nome di Filalete ne compie la prima traduzione in tedesco con ampio commento; nuovi studi critici o nuove edizioni e commenti si devono a Niccolò Tommaseo in Italia (18371-18653), a Giovanni A. Scartazzini in Svizzera (1874-1882), a Edward Moore e Paget Toynbee in Inghilterra (18941-19174), per ricordare solo i casi più illustri.
Ma la popolarità di Dante non è soltanto un fenomeno di élite. Le masse sono conquistate dai temi danteschi (e dal personaggio Dante) e ne sentono il fascino. Straordinaria è la simpatia che egli riscuote, alimentata da una capacità di “presa” sul pubblico tanto più sorprendente, in quanto Dante è uomo del Medioevo, portatore di una tematica e una problematica proprie di un’età che sembra lontanissima dalla nostra, e tuttavia egli riesce a rappresentarle e trasmetterle ai suoi lettori posteri in modo evidentemente così suggestivo, da non conoscere appannamenti o crisi. Come dimostrano, fra l’altro, le “Società dantesche” che si sono moltiplicate nel mondo, in Germania, in Inghilterra, negli Stati Uniti d’America, poi in Italia, in Francia, in Olanda, in Giappone, in Argentina, ecc., fino alla recentissima Magyar Dantisztikai Társaság, fondata a Budapest nel 2004.
Il 750° annuale della nascita di Dante – che precede di sei anni il 700° della morte – è dunque non soltanto una ricorrenza di grande rilievo nella storia della letteratura italiana (e della letteratura europea moderna), ma un evento storico di rilevanza mondiale. Perché Dante rappresenta il momento di svolta, nella storia del mondo, e di transizione dall’Età antica, che ha posto le fondamenta della cultura e della civiltà moderna, a quest’ultima, nata dal lungo e travagliato processo di trasformazione che si è compiuto nel Medioevo. Collocandosi cronologicamente proprio su quello snodo – tra la fine del XIII e gl’inizi del XIV secolo –, l’opera di Dante rappresenta la sintesi e l’emblema di quella straordinaria vicenda storica che scandisce la nascita di un mondo nuovo, nel quale oggi viviamo; e insieme l’anello di congiunzione del nuovo con l’antico, tra la nuova realtà che si va costruendo, con il concorso di tutte le culture e le civiltà del mondo, e quella realtà storica che di questa nuova ha costituito l’humus fecondo e imprescindibile. Celebrare Dante nella ricorrenza settecentocinquantenaria della nascita (e settecentenaria della morte), mentre perdura tenace e sempre più coinvolgente la sua fama e la sua popolarità presso un pubblico internazionale in continua espansione, vuol dire riaffermare con forza quel collegamento storico, come valore profondamente sentito dagli uomini del XXI secolo e premessa comunque irrinunciabile della costruzione di un “nuovo” non disancorato dalle radici del presente.
Fonte: http://centenaridanteschi.it/dante-a-750-anni-dalla-nascita/